Nei giorni scorsi il Premier Draghi ha evocato, per il nostro Paese (ma probabilmente il riferimento era esteso anche all’Europa), un’economia di guerra.
Una affermazione forte, e forse provocatoriamente esagerata, volta più ad aumentare l’attenzione di tutti (imprese, in principal modo quelle operante nel settore energetico, cittadini, pubblica amministrazione, insomma una sorta di “allerta rossa” al Sistema Italia) che non a rappresentare la situazione attuale.
Per la Treccani per “Economia di guerra” si intende l’adeguamento del sistema economico alle necessità di guerra: quindi “liberare” risorse per gli armamenti e la produzione a sostegno della guerra. Per raggiungere l’obiettivo 4 sono i “passaggi obbligati”: tasse, debito pubblico, donazioni e inflazione.
Evidentemente (e fortunatamente) siamo ben lontani ad una situazione del genere, a maggior ragione in considerazione della volontà molto evidente che tutto l’occidente (Nato, Comunità Europea, USA, etc) non vuole assolutamente la guerra (anche se la minaccia della Russia ieri è arrivata a soli 20km dal confine ucraino con la Polonia).
Peraltro, in questi giorni abbiamo assistito in alcune zone (Sardegna, Campania, Abruzzo, la provincia di Imperia) a veri e propri “assalti” ai supermercati, nonché lunghe code ai distributori, generati dalla psicosi di nuovi aumenti piuttosto che dal timore che finiscano le scorte di alcuni prodotti alimentari (il caso più clamoroso è quella della pasta).
Da sempre il prezzo dei carburanti è quello che maggiormente contribuisce alla “percezione” di una crescita dei prezzi inarrestabile e fuori controllo. Seppur in Italia (ma un po’ in tutta Europa) siamo lontani dai livelli “americani” (in quella sterminata nazione i cittadini sono abituati, in molti casi, a ore e ore di macchina, centinaia di km, per raggiungere il posto di lavoro: l’auto diventa quasi “una dependance” della propria abitazione, e l’impatto dell’aumento dei prezzi è spesso devastante per le famiglie), anche da noi è fonte di grande preoccupazione. Ne è prova quanto si sta verificando in questi giorni, con il prezzo del gasolio che in molti casi ha superato quello della benzina, raggiungendo il record di circa € 2,25/30 in modalità “self service”, con il Ministro della Transizione Ecologica Cingolani che è arrivato ad ipotizzare, da parte delle aziende di produzione e raffinazione, speculazioni violente, se non addirittura vere e proprie truffe.
La dinamica dei prezzi dei carburanti è piuttosto complessa (non solio nel nostro Paese va detto).
Sostanzialmente le voci che formano il prezzo sono 3: i “platts” (ovvero il valore dei carburanti sul mercato internazionale), il margine lordo dell’industria petrolifera e le tasse (vale a dire la sommatoria di accise e Iva).
A determinare il valore dei “platts” (una piattaforma internazionale che incrocia domanda e offerta sui mercati internazionali) sono le quotazioni del greggio (il WTI texano e il Brent dei mari del Nord). Il Brent, per esempio, seppur in calo nei giorni scorsi, è aumentato del 45,6%, mentre il rialzo è stato del 22% dal 21 febbraio, giorno in cui Putin ha firmato il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass, dando, di fatto, il via al conflitto.
Secondo l’indice Platts, nello stesso periodo la benzina è aumentata del 20% e il gasolio del 29,3%. Se invece prendiamo a riferimento il 21 febbraio, a fronte dell’aumento del Brent (come detto pari al 22%), la benzina (sempre sui “platts”) è aumentata del 9,9% mentre il gasolio è cresciuto del 16,7%. Quello che può allarmare è il fatto che il carburante che si paga al rifornimento riflette, di solito, il prezzo del petrolio di circa 1 mese prima. In realtà la filiera tende a “scaricare” gli aumenti prima di subirli, cioè vende il carburante raffinato dal greggio comprato ai prezzi più bassi come se lo avesse comprato ai prezzi più alti. E forse anche a questo faceva riferimento il ministro Cingolani.
La seconda voce, come detto, è data dal margine lordo dell’industria petrolifera. Questo margine, va detto, non è particolarmente elevato: solitamente lo “spread” è di 8 centesimi al litro, pari a circa il 5,5% della quotazione del gasolio (sempre sull’indice platts). Però dall’inizio del conflitto, alcune società hanno fatto salire tale percentuale all’11%, altre addirittura quasi al 20%. Tradotto, se il margine tornasse a quello solito, il prezzo della benzina e del gasolio potrebbero scendere immediatamente del 5%.
Rimane il tema delle tasse: se in Italia il prezzo è maggiore rispetto a quello di altri Paesi lo si deve proprio al peso delle tasse, in primo luogo delle accise (stiamo pagando ancora quelle inserite all’epoca della guerra dell’Abissinia…). Oggi il valore di questo “balzello” è pari, sul prezzo della benzina, a € 0,73 (in Europa siamo superati solo dai Paesi Bassi); se guardiamo al gasolio si scende a 0,62 € per litro, il livello più alto in Europa.
A questa tassa, peraltro, va aggiunta l’Iva (che diventa, quindi, per buona parte una tassa sulla tassa…): si arriva così al 55% di incidenza sul costo della benzina e al 51% di quello del gasolio. Si calcola che nel solo mese di marzo l’extra gettito per lo Stato, relativamente all’Iva, non inferiore a € 200ML.
A tutto questo, poi, si aggiunge il fatto che le transazioni delle materie prime (e quindi anche di greggio) avvengono in $. E oggi, come ben sappiamo, il cambio €/$ viaggia intorno a 1,10 (per fare un esempio, nell’ultima, gravissima crisi del 2008, quando il barile raggiunse la quotazione record di $ 147,5, il $ era a 1,60 verso €, vale a dire circa il 30% in meno).
L’apertura della settima appare, per quanto riguarda gli indici azionari, piuttosto contrastata.
Se il Nikkei chiude in territorio positivo (+ 0,55%), la Great China è in clamoroso ribasso. Shanghai si avvia verso una chiusura vicina al – 3%, mentre Hong Kong addirittura sfiora il – 5%. A pesare il nuovo, imprevisto lockdown imposto a Shenzen, città di quasi 20 ML di abitanti molto vicina all’ex città-stato, a causa della scoperta di circa 60 (sessanta) nuovi casi di Covid. Fatte le proporzioni, è come se l’Italia (circa 60 ML di abitanti) venisse “chiusa” per neanche 200 casi di Covid.
Futures che preludono ad un avvio di giornata positivo per le borse europee e quella Usa, con rialzi che superano, da questa parte dell’Oceano, anche l’1,50%.
In forte calo tutte le materie prime: petrolio (WTI) a $ 105,7 (- 3,4%), gas naturale a $ 4,631 (- 2,16%), oro a $ 1.978 (- 0,43%).
Positivo, nei primi scambi, lo spread, che fa segna 158,6 bp. Rendimento BTP in area 1,80%.
Ai massimi da quasi 3 anni il treasury, che tocca il 2,05%.
€/$ a 1.0925 nella settimana che dovrebbe vedere il rialzo dei tassi USA da parte della FED.
Week end di quiete per il bitcoin, che troviamo anche questa mattina appena sotto il $ 39.000.
Ps: ma quanto è grande l’universo? Secondo uno studio appena pubblicato nell’ambito del progetto BiD4BESt (Big Data applications for Black hole Evolutions Studies) l’universo “osservabile” raggiungerebbe un diametro di 90 miliardi di anni luce, che conterrebbe 40 trilioni (cioè 40 miliardi di miliardi) di buchi neri.
A parte chiedersi come sia possibile arrivare a stimare numeri di questa portata, sorge anche un’altra domanda: ma siamo proprio sicuri di essere gli unici esseri viventi a popolarlo…?